Giornata internazionale della donna: incontriamo Francesca Pasinelli
In occasione della Giornata Internazionale della donna, abbiamo intervistato Francesca Pasinelli, membro del comitato scientifico della Fondazione Dompé, nonché Direttore Generale di Fondazione Telethon, un ente senza scopo di lucro che si occupa di ricerca nell’ambito delle malattie genetiche rare. Un'intervista a cuore aperto dove la dottoressa ha condiviso con noi la sua visione sul gender gap in ambito STEM e il ricordo toccante della donna che l'ha ispirata di più.
Dal 2009 è Direttore Generale di Fondazione Telethon. Cosa l’ha portata fino a qui?
Sicuramente la passione. Vengo da un percorso di industria farmaceutica, mi sono laureata in farmacia e farmacologia. Quindi ho sempre avuto un debole per la messa a punto dei farmaci. A un certo punto, potermi dedicare a pazienti affetti da malattie rare, che erano un po’ trascurati dai grandi investimenti pubblici e privati, mi ha intrigata: ho pensato che sarebbe stato bello mettere al loro servizio tutte le cose che nell’industria del farmaco avevo imparato
Secondo uno studio dell’ONU, le donne costituiscono solo il 28% della forza lavoro nei campi STEM. Perché?
Credo che dipenda da tante cose. Un po’ che le donne in generale e nel mondo hanno faticato a guadagnarsi una posizione di rilievo, e questo è vero anche nel mondo STEM. In particolare, nel nostro Paese, penso che il mondo STEM sia sempre appartenuto un po’ più agli uomini, forse nella cultura collettiva. Devo dire che questo non è così tanto vero nella parte biologica, per esempio, e nel farmaco. L’industria del farmaco va assolutamente contro questa indicazione perché è un’industria molto popolata da donne, dove gli equilibri di genere sono mantenuti già da molto tempo.
Quali strategie potrebbero diminuire il gender gap?
Una strategia fondamentale credo che debba partire dalla scuola, primaria e secondaria. Bisogna che il corpo insegnante avvicini alle materie tutte le persone e non operi delle distinzioni fra maschio o femmina, sulla base di un’apparente maggior interesse di tipo tecnologico da parte del maschio. Poi certamente c’è un tema di welfare: le professioni STEM sono delle professioni molto impegnative, anche dal punto di vista fisico. Una donna, quindi, deve poter essere favorita da politiche che consentano di coniugare il proprio desiderio di maternità e quello di perseguire degli studi e delle carriere adeguate in ambiti anche un po’ più difficili.
C’è una donna in particolare che è stata una fonte d’ispirazione per lei?
La mia vicina di casa: era la mamma di due ragazzi affetti da una grave malattia genetica, che soprattutto in quegli anni era gravissima perché non c’era nessuna forma di cura, nemmeno palliativa. E quindi ho visto attraverso l’impegno, la caparbietà, lo straordinario amore di questa donna che cosa volesse dire convivere con una malattia genetica senza pensare che la malattia venisse prima del figlio. Ho imparato cosa vuol dire che una persona precede sempre la sua malattia e che la vita e la vita di un figlio è fonte di gioia, di ispirazione e di voglia di vivere sempre, indipendentemente dalla gravità della sua malattia.
Quale consiglio darebbe a una giovane studentessa interessata a iscriversi a una laurea STEM?
Darei lo stesso consiglio che do a qualsiasi studentessa. Di fare un percorso di studi che attragga, inseguire il cuore nelle scelte: perché le difficoltà indubbiamente ci sono, in alcune aree magari maggiori che in altre, ma la vera difficoltà di una persona è trovarsi a fare una cosa che non piaccia, una cosa che non tocchi le corde del cuore.